Frutta e verdura per andare a tutta

Sodio, potassio e magnesio sono gli elettroliti fanno funzionare il circuito elettrico del corpo e il modo migliore per reintegrarli è durante i pasti

a cura del dottor Alessandro Da Ponte

fruttaSe è vero che siamo fatti per il 60% di acqua è anche vero che il nostro corpo è un gigantesco circuito elettrico e può funzionare perché ci sono gli elettroliti che permettono la trasmissione di impulsi elettrici. In particolare abbiamo bisogno di sodio, potassio e magnesio per citare i più importanti. Durante l’attività fisica li perdiamo soprattutto con il sudore ed è con cibo e bevande che dobbiamo reintrodurli. Non si va in carenza di sali in maniera acuta (tranne casi estremi ovviamente) ma è il cronico sbilanciamento tra entrate e uscite che può causare problemi. L’atleta, soprattutto se suda molto, ha un fabbisogno superiore alla persona sedentaria ma una dieta varia e bilanciata, soprattutto se ricca di verdura e frutta (anche secca e in guscio), fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Attenzione a non bere acqua povera di sodio: può essere utile per il cardiopatico e il nefropatico ma l’atleta ha il problema contrario. In particolare durante l’esercizio un po’ di sodio nelle bevande facilita l’assorbimento degli zuccheri e scongiura il pericolo dell’iponatremia (riduzione dei valori del sodio plasmatico al di sotto di 136 mmol/l), una pericolosa complicanza del bere troppa acqua (e che negli ultimi anni ha causato negli atleti più problemi della disidratazione). A differenza del sodio che è un elettrolita prevalentemente extracellulare, il potassio e il magnesio si trovano prevalentemente all’interno delle cellule quindi il dosaggio nel sangue è solo indicativo, cioè si può essere carenti di potassio e magnesio anche con gli esami del sangue norm
ali! È molto importante, se necessario integrare, assumere potassio e magnesio durante i pasti per sfruttare l’azione dell’insulina nel veicolarli all’interno delle cellule. Assumendoli a digiuno una buona parte verrebbe eliminata con le urine, vanificando l’effetto dell’integratore. Quando cominciamo ad accusare crampi muscolari più spesso dipende da una carenza di zuccheri a livello muscolare che da una carenza di sali. Frutta e verdura in abbondanza assieme a buona acqua sono tutto quello di cui abbiamo bisogno e se serve integrare ricordate: meglio assumere potassio e magnesio durante i pasti.

 

 

Lo sai che…

Quasi tutto il potassio e il magnesio del nostro corpo si trovano all’interno delle cellule?

Il calcio e il magnesio hanno un effetto alcalinizzante antiacido nel nostro organismo?

Con l’allenamento l’organismo impara a perdere meno sale con il sudore

Il limite massimo raccomandato di sodio nella dieta è 2.5 grammi al giorno (la quantità disciolta in decine di litri d’acqua)

Il magnesio si trova soprattutto nel cacao (cioccolata amara) e nella frutta secca e in guscio come mandorle, arachidi, noci e similari


Non è sempre colpa dell'acido lattico

di Eros Grazioli

(autore del libro Skyrunning, teoria dell'allenamento)

A tutti gli skyrunner è capitato più volte di accusare dolori insistenti agli arti inferiori nella giornata seguente a un allenamento difficile o a una gara, in particolare se con importanti tratti di discesa. Questo stato di indolenzimento, che si accentua con la pressione sui tessuti interessati, compare nelle ore successive allo sforzo e nei primi due o tre giorni tende persino a peggiorare, trovando la sua fase più acuta nelle 48 ore seguenti. Anche se è la credenza più comune, la causa di tutto ciò non è di certo l’acido lattico! Esso infatti viene smaltito da subito, una volta terminato lo sforzo, e nel giro di 12 ore non ce n’è più traccia. Le cause del DOMS (dall’inglese delayed onset muscle soreness = indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata) sono da ricercare invece esclusivamente nel danneggiamento delle fibre e di alcuni tessuti limitrofi che le contengono.

La causa del DOMS

Soprattutto durante le contrazioni dette eccentriche, quando cioè il muscolo da contratto si allunga al tempo stesso, la resistenza dall’esterno è maggiore della forza attiva del soggetto, causando così la rottura di alcune miofibrille e del connettivo perimuscolare. Ciò succede nella corsa in discesa, soprattutto nei tratti più impegnativi e magari nel finale dell’allenamento, quando energie e coordinazione sono già un po’ ‘alla frutta’. Nel lavoro eccentrico il muscolo frena, ma se lo sforzo è elevato, alcune strutture non reggono le tensioni, rompendosi e avviando così il processo infiammatorio.

Cosa fare?

Nel giorno successivo è necessario fare attenzione a non lavorare muscolarmente sui comparti già sofferenti (di solito non c’è pericolo… non si riesce nemmeno a scendere le scale!). È comunque accertato che è molto meglio allenarsi (nel modo corretto ovviamente!) rispetto al rimanere totalmente fermi. Poiché il processo di cicatrizzazione delle fibre strappate ha essenzialmente bisogno di tempo, vale la pena di accelerare questo sviluppo richiamando sangue nei settori danneggiati, in modo che le sostanze nutritive portino giovamento. Come? Effettuare 40-50’ di lento in piscina o di bici con rapporti agili può rivelarsi una scelta migliore dello stare fermi. Si può anche correre, ma è senza dubbio più pericoloso: anche scegliendo terreni pianeggianti e andatura blanda, nella fase di contatto con il suolo la muscolatura dell’arto inferiore lavora in modo cedente  ed è facile che si provochino ulteriori piccole fratture muscolari. Lavorare in palestra sui settori danneggiati a corpo libero o sui settori limitrofi con carichi discreti, contribuisce al richiamo di sangue e al conseguente apporto di agenti nutritivi. Lo stretching è consigliabile solo dopo 48 ore in quanto lavorare precedentemente sull’allungamento potrebbe allontanare pericolosamente i capi delle fibre che hanno iniziato il processo di cicatrizzazione. Anche il massaggio potrebbe tornare piacevole solo dopo due-tre giorni in quanto prima la pressione sui tessuti danneggiati provoca solitamente dolore.

 


Carte topografiche e pianificazione dell'escursione

di Renato Cresta

(autore di Neve, compendio di nivologia)

«Una mappa è una finestra aperta sull’avventura»

La frase in epigrafe è stata pronunciata da quel tal Francis Chichester che fu nominato Sir dalla Regina Elisabetta perché, per primo e all’età di 72 anni, fu capace di fare il giro del mondo in solitaria con una barca a vela lunga una decina di metri. Chichester era uno specialista della navigazione aeronautica ed era passato senza difficoltà alla navigazione marittima trasferendo sulle carte nautiche le sue esperienze di pianificazione della rotta e le sue capacità di orientamento anche in assenza di punti di riferimento. La nostra gita in montagna è una piccola avventura, ossia una breve impresa, attraente per ciò che vi si prospetta d'ignoto e vi si vive fuori del comune, ma che presenta qualche rischio, tipico dell’ambiente montano, compreso quello di valanghe. Molte volte l’avventura diventa disavventura e questo accade per oltre il 15% degli interventi del CNSAS, interventi durante i quali i membri sono impegnati nella ricerca di chi si è perduto per i monti.

Secondo una definizione tecnica una mappa, o carta topografica, è una rappresentazione grafica di una porzione della superficie terrestre ma, secondo l’uso pratico, è una fonte d’informazioni essenziale per la programmazione di un’escursione. Ha un difetto: solo i toponimi sono scritti in caratteri latini, mentre tutto il resto è rappresentato per simboli, analoghi ai geroglifici della scrittura egizia; per questo motivo presenta qualche difficoltà di lettura. Però, quando avremo imparato a leggerla, troveremo tutte le informazioni che ci occorrono a proposito dello sviluppo del percorso, dei dislivelli, della pendenza delle salite e delle discese. Certo, queste informazioni sono chiaramente riportate sulle topoguide, che però ci propongono e descrivono solo le gite più classiche; per ogni altra escursione dovremo ricorrere alla carta per ricavarne noi stessi queste informazioni. Per contro, rispetto alle topoguide, la carta ha un vantaggio: se penso di fare un’escursione nelle Alpi francesi o svizzere o austriache o slovene potrò ‘leggere’ senza difficoltà la mappa della zona perché le carte topografiche sono rappresentazioni simboliche, ossia usano dei simboli per rappresentare un particolare o una caratteristica del terreno e i simboli, per accordi internazionali, sono sempre gli stessi. Così un ponte sarà indicato da due parentesi quadre disposte in questo modo ❳❲e non importa se uno lo chiama ponte e un altro lo definisce pont o bridge oppure Brücke invece di most. Imparare a riconoscere i simboli topografici non è difficile, occorre solo un po’ di buona volontà e di pazienza ed è altrettanto facile misurare le distanze planimetriche, ossia secondo la loro proiezione su un piano orizzontale.

Le difficoltà di lettura di una carta si presentano quando affrontiamo la rappresentazione dell’altimetria; questa è una difficoltà che il disegnatore della carta ha dovuto superare con alcuni accorgimenti grafici. Per i terreni pianeggianti si è limitato ad aggiungere un numero accanto ai particolari rappresentati sulla carta: quella cifra ne indica la quota in metri rispetto al livello medio del mare, ma per i rilievi ha dovuto ricorrere alle isoipse, o curve di livello, che sono quelle linee che uniscono tutti i punti geografici che hanno la medesima altitudine. Aggiungendo lo sfumo o, come detto dai tecnici, il ‘lumeggiamento’ ha dato alla carta anche un aspetto di pseudorilievo, che facilita la comprensione della morfologia dell’ambiente montano.

Tutti gli enti cartografici disegnano le curve di livello rappresentando le isoipse multiple dei 100 m (curve direttrici) con un tratto più pesante; le curve ordinarie, quelle comprese tra due direttrici, vengono disegnate con tratto più leggero, ma secondo criteri non uniformi. Così, su una carta francese 1/25.000, vedremo che tra due direttrici sono disegnate 9 linee sottili, mentre su una carta svizzera ne vedremo 4 e su una carta italiana solo 3. L’equidistanza (differenza di quota tra due curve contigue) sarà pertanto di 10 m sulle carte francesi, di 20 m su quelle svizzere e di 25 m sulle carte italiane edite dall’IGM (Istituto Geografico Militare) e sulle carte derivate da queste.

Ho indicato le carte in scala 1/25.000 (1 mm = 25 m) perché, oltre a essere le più diffuse, sono anche le più indicate per le nostre escursioni. Un’equidistanza di 25 m su una carta 1/25.000 corrisponde a un 1/1000 della scala e l’IGM ha conservato lo stesso principio di disegnare le curve con un’equidistanza pari a 1/1000 della scala anche sulle carte 1/50.000, sulle quali troveremo una sola curva ordinaria tra due direttrici. L’andamento della curvatura sul piano ci indica le sinuosità del versante: dorsale, canalone... secondo un criterio molto semplice:

  • • andamento rettilineo: pendio aperto, versante uniforme;
  • • curvatura rivolta verso le quote inferiori: displuvio, dorsale;
  • • curvatura rivolta verso le quote superiori: impluvio, vallecola, canalone.

Tanto più chiusa sarà la curvatura, tanto più accentuato sarà il displuvio (da una larga dorsale a uno sperone) o l’impluvio (da un ampio canalone a una forra).

Una ricerca condotta da D. McKlung & P. Schaerer nella zona del Roger Pass  (British Columbia) ha mostrato che i pendii da valanga più attivi sono quelli compresi tra i 35° e i 45° e che, in questa fascia di valori, il numero di valanghe che si distaccano nei canaloni è quasi il doppio rispetto a quelle che si distaccano da pendii aperti. Sulla base di questa constatazione, dovremo verificare con molta attenzione il tracciato del nostro percorso: Esistono dei tratti con inclinazione compresa entro questi valori critici? Dovremo attraversare dei canaloni? La seconda domanda trova facile risposta nell’osservazione delle sinuosità delle curve di livello, mentre la prima ci richiede un poco più d’impegno. Indipendentemente dalla fittezza o densità delle curve di livello, ricordiamoci che:

 

  • • quando queste sono regolarmente distanziate si ha un profilo rettilineo;
  • • se si infittiscono verso le quote inferiori si ha un profilo convesso;
  • • se si diradano verso le quote inferiori si ha un profilo concavo.

L’immagine n° 1 presenta un quadro di questi diversi aspetti morfologici.

Poiché la forza di gravità tende a fare muovere verso valle il manto nevoso depositato su un pendio in misura proporzionale all’inclinazione dello stesso, su un pendio piuttosto movimentato si avranno sollecitazioni disuguali e, in molte zone, la trazione tra la neve a monte e quella a valle sarà accentuata o diminuita dalla sagoma del profilo.  Queste diverse sollecitazioni alla trazione agiscono come forze che possono portare alla rottura per trazione del manto immagine 1.100nevoso e, di conseguenza, al distacco. Una ricerca condotta da I. Vortobel, S. Harvey e R.S. Purves (IFENA - Svizzera) ha preso in esame le variazioni di curvatura del terreno, che sono state classificate nei nove tipi rappresentati nell’immagine n° 2, ed ha constatato che i profili più attivi sono quelli cerchiati in rosso.

Se mettiamo insieme queste informazioni e le confrontiamo con quanto possiamo ricavare dalla lettura della carta, avremo già una prima idea a proposito delle zone in cui il distacco è più probabile e, sempre dalla lettura della carta, potremo cercare un itinerario che le eviti. Se non è possibile evitarle, potremo rinunciare a quella gita, oppure decidere di partire ma, in questo caso, avremo anche una chiara visione dei rischi ai quali andremo incontro e dei tratti di percorso in cui sono localizzati.

Calcolare la pendenza sulla carta topografica

Anche i meno preparati sanno che le curve che s’infittiscono indicano un pendio ripido e che le curve che si diradano indicano che la pendenza diminuisce, ma noi, che ci teniamo sempre aggiornati sulle condizioni del manto nevoso, potremo leggere sul Bollettino Valanghe che è sconsigliato affrontare pendii ripidi (30°-35°) o molto ripidi (35°-40°) e ci rendiamo conto che dobbiamo ricorre a un criterio di valutazione delle pendenze meno grossolano della stima curve vicine - curve lontane’.

Il procedimento per il calcolo della pendenza prevede di dividere il dislivello per la distanza orizzontale (misurata lungo la linea di massima pendenza tra il punto di quota minima e quello di quota massima) e di moltiplicare per 100 il risultato. Così, se il dislivello è di 75 m su una distanza di 150 m avrò 75 : 150 x 100 = 50%. Ovviamente bisogna ricorre al sistema di misurare la distanza in mm con un righello e moltiplicare per 25 per avere la distanza naturale (orizzontale) tra i due punti; dovremo anche moltiplicare per 25 (equidistanza o differenza di livello) il numero di intervalli compresi tra le curve (3 intervalli x 25 m = 75 m) e finalmente potremo eseguire la divisione.

Il procedimento che suggerisco è molto più rapido, ma vale solo per le carte che, come quelle IGM, hanno un’equidistanza pari ad 1/1000 della scala (equidistanza di 25 m per una scala 1/25.000). Come nel caso precedente, contati 3 intervalli tra le curve di livello e misurati 6 mm tra i due punti, eseguo 3 : 6 x 100 = 50%. Questo è possibile perché, a questa scala, 1 mm corrisponde a uno sviluppo di 25 m sia sull’orizzontale che sul verticale. Posso perciò fare il calcolo usando i valori rilevati in mm invece di trasformare tutto in metri. Utilizzando carte che non rispettano questo rapporto di equidistanza pari ad 1/1000 della scala, dovrò trasformare tutto in metri prima di eseguire il calcolo. In ogni caso otterrò sempre la stessa pendenza percentuale.

Pendenza o inclinazione?

Sembrano sinonimi, ma in realtà non lo sono:

  • • Pendenza: come abbiamo appena visto, è il rapporto percentuale tra la differenza di quota fra due punti e la loro distanza orizzontale; è espresso in %.
  • • Inclinazione: è l'angolo compreso tra la retta che indica l’obliquità media del pendio e il piano orizzontale; è abitualmente espresso in ° sessagesimali.

Sembra la stessa cosa, ma se dico che un pendio ha un’inclinazione del 100% non vuole dire che quel pendio è verticale, ma che ha un’inclinazione di 45°.  Può sorprendere, ma provate a disegnare un triangolo rettangolo con i cateti di 10 cm, ossia di 100 mm e fate il calcolo: 100 : 100 x 100 = 100%, ma vedrete che l’ipotenusa ha un’inclinazione di soli 45°.

Quando il Bollettino Valanghe parla di pendii ripidi, o molto ripidi, fa riferimento a dei precisi valori di inclinazione in gradi sessagesimali, ma la carta ci permette di ricavare solo pendenze percentuali e qui sembra che le cose si complichino, però la faccenda è meno intricata di quanto sembri.

Una tabella di comparazione semplifica le cose.

Definizione  Inclinazione in °  Pendenza in %
Moderatamente ripido < 30° < 57%
Ripido da 30° a 35° da 57% a 70%
Molto ripido da 35 a 40° da 70% a 84%
Estremamente ripido > 40° > 84%

Chi ha nozioni di trigonometria sa che il quoziente della divisione dislivello/distanza corrisponde alla tangente dell’angolo perciò, usando una calcolatrice scientifica da pochi euro, può ricavare rapidamente il valore angolare, ma anche chi è digiuno di trigonometria, usando la funzione POL (coordinate polari) implementata nella calcolatrice, può ottenere rapidamente sia la distanza inclinata (ipotenusa), sia l’angolo alla base. Per ottenere questi valori è sufficiente digitare il tasto POL e, in successione, il dislivello e la distanza (separati da una virgola) per ottenere l’ipotenusa (distanza effettiva da percorrere) e l’angolo che questa forma con la base. La procedura d’inserimento dei dati può variare da una calcolatrice all’altra, ma il risultato sarà sempre corretto.

 

Immagine n.2
Immagine n.2

Tutto questo lavoro, che dovremo eseguire al tavolino, ci permetterà di calcolare distanze e dislivelli e di identificare sulla carta quelle superfici che sarebbe opportuno non affrontare. Per evitare il rischio di sbagliare strada potremo poi affidarci a un GPS, che ci condurrà, passo dopo passo, sul tracciato di maggior sicurezza con il quale lo abbiamo programmato.


La virata tradizionale e la Brosse-Elmer

di Enrico Marta

(autore del libro Ski-alp Advanced)

Abbiamo messo a confronto la virata tradizionale, uno dei gesti tecnici cardine nella progressione di ogni scialpinista, con quella di derivazione agonistica 'Brosse-Elmer', dal nome dei due campioni che l'hanno perfezionata negli anni. Sul numero 82 di Ski-alper, in edicola da metà della prossima settimana, in 10 pagine di sequenze fotografiche cercheremo di spiegarvi ogni dettaglio delle due diverse interpretazioni. Intanto potete iniziare a vedere il video backstage realizzato da Enrico Marta durante la preparazione del servizio ed eventulamente lasciare i vostri commenti o quesiti.

(tratto da Skialper n.82 di febbraio 2012)


4 cose che non sapevate dei ‘best agers’

di Massimo Massarini

(autore del libro In forma per lo scialpinismo)

Qualche anno fa Enrico Marta, sulle pagine di questa rivista, aveva coniato un nuovo termine per definire gli scialpinisti che, superati i 60 anni, si divertivano ancora a macinare migliaia di metri di dislivello e ad affrontare discese anche molto impegnative; Marta li aveva chiamati 'best ager', ovvero «quelli che invecchiano meglio degli altri». In questi anni mi è spesso capitato di condividere con loro molte gite e bellissime giornate di sport, e per questo mi fa molto piacere contribuire con qualche suggerimento a prolungare più a lungo possibile la pratica di questo sport.

A che età si diventa 'best ager'?

Il mio lavoro di medico dello sport mi porta quotidianamente in contatto con sportivi di età diversa e sempre più spesso incontro ultrasessantenni capaci di performance incredibilmente positive negli sport di resistenza. Definire cronologicamente a che età si diventa soci del 'Best Ager Club' non è facile, ma si potrebbe dire che va dai 55 ai 60 anni, malgrado qualcuno a quell'età se la senta senta ancora di definirsi 'giovane'. A loro dico che è comunque la fisiologia dell’uomo, con le sue leggi, che determina senza appello il momento in cui non si è più giovani. Gli elementi comuni a tutti questi senior dalle brillanti performance sportive sono: genitori longevi, allenamento continuo e alimentazione sana. Le doti fisiche di resistenza aerobica, forza massima e flessibilità decadono ineluttabilmente con il passare degli anni e con un ritmo diverso in base a molteplici fattori, alcuni dei quali sono influenzabili dai nostri comportamenti: conoscendoli si può procrastinare di molto il momento di attaccare le pelli al chiodo. Purtroppo l’elemento che pesa maggiormente è la genetica. Avere dei genitori longevi e sani è senz’altro fondamentale per poter aspirare ad una lunga carriera sportiva. Ciò vale anche per i campioni, e infatti spesso, durante i convegni di medicina dello sport, si sente dire che per vincere le olimpiadi bisogna innanzitutto scegliere i genitori giusti. Ciò che invece può fare ognuno di noi, è cercare di gestire il fisico che abbiamo ricevuto in dote nel miglior modo possibile».

Bisogna quindi ritardare l’invecchiamento con alimenti di qualità?

Le leve sulle quali possiamo agire sono fondamentalmente tre: l’alimentazione, l’allenamento e le abitudini di vita. Le evidenze mediche indicano una forte correlazione tra tipologia di alimentazione e ciò che viene definito come 'successfull aging' o invecchiamento ottimale. Lo studio di popolazioni con alta percentuale di centenari ha, infatti, evidenziato come l’uso di olii di pesce, di curcuma e di flavonoidi sia collegato alla longevità. Gli acidi grassi omega 3 (derivati dall’olio di pesce) hanno un potente effetto anti-infiammatorio e contrastano quindi l’instaurarsi di quello stato di infiammazione silente che è alla base di malattie cardiovascolari, diabete ed Alzheimer. La dieta occidentale, ricca di grassi saturi e carboidrati raffinati, è il fattore primario che favorisce lo stato infiammatorio. Per contrastarlo, oltre ad assumere almeno 2 g al giorno di omega 3, dobbiamo scegliere alimenti costituiti da farine integrali e ricche di fibra, verdure, frutta, pesce azzurro e legumi. I flavonoidi sono invece dei potenti antiossidanti naturali e contrastano l’azione dei radicali liberi prodotti dall’organismo.  Il loro meccanismo di azione è rivolto anche al mantenimento di una buona flora batterica intestinale, che rappresenta la miglior barriera a difesa dell’organismo. Tale flora batterica è invece danneggiata dall’assunzione di cibi trattati con conservanti, dall’eccesso di zuccheri e grassi animali.

I flavonoidi sono contenuti in altissima concentrazione nella pianta della curcuma, nei frutti di bosco e nella buccia della frutta. Senza dimenticare che un bicchiere di buon vino rosso, con il suo contenuto di rosveratrolo è un ottimo anti-aging. Se infatti l’esercizio fisico fa bene a cuore e muscoli, è pur vero che l’intensità elevata degli stessi esercizi aumenta la produzione di radicali liberi e lo stress ossidativo ad essi correlato, con conseguente danno delle membrane cellulari e accelerazione del processo di invecchiamento o 'aging' dell’organismo. Il processo di invecchiamento è inoltre associato alla perdita progressiva di acqua dell’organismo. Questa progressiva disidratazione comporta un irrigidimento del tessuto connettivale, quello che costituisce le guaine muscolari, i tendini e i legamenti. Un tessuto connettivale meno elastico è più soggetto a traumi e a lesioni, se sottoposto a carichi improvvisi. Bere molto acqua aiuta a combattere questo rischio e a preservare le qualità meccaniche della nostra muscolatura.

Come deve essere l'allenamento?

L’allenamento deve essere adeguato ai cambiamenti indotti dall’età e cercare di rallentarli il più possibile. Ho accennato al decadimento fisiologico di potenza aerobica, forza massima ed elasticità. Inevitabilmente, a partire dai 20 anni queste qualità tendono a diminuire con una velocità tanto maggiore, quanto meno vengono stimolate. È dunque fondamentale che l’allenamento sia vario e tocchi tutte le componenti della performance generale.

Per quanto riguarda la capacità aerobica è bene precisare che, pur riducendosi il picco di consumo d’ossigeno che contrariamente alla forza resta elevato fino a circa i 30 anni, i valori di soglia anaerobica decadono molto più lentamente. In pratica ciò significa che un sessantenne ben allenato vedrà calare la propria performance in modo molto lento nelle salite ad andatura costante, ma perderà lo 'scatto' tipico dei più giovani. Dopo i 50 anni va quindi bene fare allenamenti a fondo lungo e medio e inserire una seduta settimanale di ripetute alla soglia, evitando però i lavori ad intensità lattacida e massimale, che aumentano il rischio di infortuni senza produrre benefici concreti. La forza muscolare deve invece essere continuamente allenata perché altrimenti decade con grande velocità. Ecco allora che 2-3 volte la settimana ci si dovrà dedicare ad esercizi con sovraccarichi. La modalità di allenamento dovrebbe prevedere esercizi di base come spinte e trazioni con le braccia, mezzo squat e affondi per le gambe svolgendo 3 serie da 8-12 ripetizioni raggiungendo l’ultima ripetizione a fatica. Solo così si avrà la certezza di stimolare le fibre bianche del muscolo, quelle responsabili della forza massima.

La seduta di allenamento comprenderà anche 3-4 esercizi di core stability per mantenere l’efficienza di ogni gesto atletico e per ridurre il rischio di lombalgie. Stretching ed esercizi di mobilizzazione dovranno essere parte quotidiana dell'allenamento e diventare momenti integranti di ogni giornata, non necessariamente legati alla seduta di allenamento. Si può fare stretching anche davanti alla televisione dopo cena…Il recupero è un argomento altrettanto delicato dopo i 50 anni. Se da giovani ci si può allenare anche per diversi giorni consecutivi ad alta intensità, oltre bisogna rispettare tempi di recupero più lunghi. Ciò non significa che dopo una gita si debba osservare il riposo assoluto, piuttosto bisognerà usare l’esperienza per alternare a giornate di grande dislivello e impegno, giornate più tranquille, con uscite più brevi e meno stressanti. Dare una ricetta non è facile, ognuno deve imparare a conoscersi e, con l’aiuto di strumenti come il cardiofrequenzimetro, capirà quando l’organismo ha recuperato la totalità di energia. Anche il sistema di termoregolazione perde efficienza per la riduzione di flusso capillare alle estremità (mani, piedi, orecchie).

Qualche precauzione in più nell’abbigliamento e nella preparazione dello zaino è quindi fondamentale quando le temperature diventano gelide. I 'best ager' dovranno scegliere un guanto a moffola e  scarponi ben coibentati, anche a costo di portarsi dietro qualche etto di peso in più.

Quale la conclusione?

Lo skialp offre molteplici possibilità di affrontare le montagne, da quella più atletica e tecnica, a quella più tranquilla e turistica. Ognuno quindi può scegliere la gita in base alle proprie forze e capacità; l’importante è continuare ad utilizzare sci e pelli per mantenere fisico e mente giovani. Lo scialpinismo sarà per molti un ottimo stimolo per mantenersi in forma, per non aumentare il peso e per continuare a frequentare gente più giovane.  Alimentazione di qualità e allenamento consapevole sono i nostri migliori alleati per una longeva attività scialpinistica.
Essentials

1 - Si entra nel ‘Best Agers Club’ a partire dai 55-60 anni

2 - Le evidenze mediche indicano una forte correlazione tra tipologia di alimentazione e invecchiamento ottimale ma il fattore che pesa di più è la genetica

3 - L’uso di olii di pesce, di curcuma e di flavonoidi è collegato alla longevità.

4 - Dopo i 50 anni vanno bene allenamenti a fondo lungo e medio con una seduta settimanale di ripetute alla soglia, evitando lavori ad intensità lattacida e massimale

Lo sapevi che?

Un bicchiere di buon vino rosso, con il suo contenuto di rosveratrolo è un ottimo anti-aging

Due allegri ottantenni in azione con le pelli ©archivio Skialper
Due allegri ottantenni in azione con le pelli ©archivio Skialper