di Renato Cresta

(autore di Neve, compendio di nivologia)

«Una mappa è una finestra aperta sull’avventura»

La frase in epigrafe è stata pronunciata da quel tal Francis Chichester che fu nominato Sir dalla Regina Elisabetta perché, per primo e all’età di 72 anni, fu capace di fare il giro del mondo in solitaria con una barca a vela lunga una decina di metri. Chichester era uno specialista della navigazione aeronautica ed era passato senza difficoltà alla navigazione marittima trasferendo sulle carte nautiche le sue esperienze di pianificazione della rotta e le sue capacità di orientamento anche in assenza di punti di riferimento. La nostra gita in montagna è una piccola avventura, ossia una breve impresa, attraente per ciò che vi si prospetta d’ignoto e vi si vive fuori del comune, ma che presenta qualche rischio, tipico dell’ambiente montano, compreso quello di valanghe. Molte volte l’avventura diventa disavventura e questo accade per oltre il 15% degli interventi del CNSAS, interventi durante i quali i membri sono impegnati nella ricerca di chi si è perduto per i monti.

Secondo una definizione tecnica una mappa, o carta topografica, è una rappresentazione grafica di una porzione della superficie terrestre ma, secondo l’uso pratico, è una fonte d’informazioni essenziale per la programmazione di un’escursione. Ha un difetto: solo i toponimi sono scritti in caratteri latini, mentre tutto il resto è rappresentato per simboli, analoghi ai geroglifici della scrittura egizia; per questo motivo presenta qualche difficoltà di lettura. Però, quando avremo imparato a leggerla, troveremo tutte le informazioni che ci occorrono a proposito dello sviluppo del percorso, dei dislivelli, della pendenza delle salite e delle discese. Certo, queste informazioni sono chiaramente riportate sulle topoguide, che però ci propongono e descrivono solo le gite più classiche; per ogni altra escursione dovremo ricorrere alla carta per ricavarne noi stessi queste informazioni. Per contro, rispetto alle topoguide, la carta ha un vantaggio: se penso di fare un’escursione nelle Alpi francesi o svizzere o austriache o slovene potrò ‘leggere’ senza difficoltà la mappa della zona perché le carte topografiche sono rappresentazioni simboliche, ossia usano dei simboli per rappresentare un particolare o una caratteristica del terreno e i simboli, per accordi internazionali, sono sempre gli stessi. Così un ponte sarà indicato da due parentesi quadre disposte in questo modo ❳❲e non importa se uno lo chiama ponte e un altro lo definisce pont o bridge oppure Brücke invece di most. Imparare a riconoscere i simboli topografici non è difficile, occorre solo un po’ di buona volontà e di pazienza ed è altrettanto facile misurare le distanze planimetriche, ossia secondo la loro proiezione su un piano orizzontale.

Le difficoltà di lettura di una carta si presentano quando affrontiamo la rappresentazione dell’altimetria; questa è una difficoltà che il disegnatore della carta ha dovuto superare con alcuni accorgimenti grafici. Per i terreni pianeggianti si è limitato ad aggiungere un numero accanto ai particolari rappresentati sulla carta: quella cifra ne indica la quota in metri rispetto al livello medio del mare, ma per i rilievi ha dovuto ricorrere alle isoipse, o curve di livello, che sono quelle linee che uniscono tutti i punti geografici che hanno la medesima altitudine. Aggiungendo lo sfumo o, come detto dai tecnici, il ‘lumeggiamento’ ha dato alla carta anche un aspetto di pseudorilievo, che facilita la comprensione della morfologia dell’ambiente montano.

Tutti gli enti cartografici disegnano le curve di livello rappresentando le isoipse multiple dei 100 m (curve direttrici) con un tratto più pesante; le curve ordinarie, quelle comprese tra due direttrici, vengono disegnate con tratto più leggero, ma secondo criteri non uniformi. Così, su una carta francese 1/25.000, vedremo che tra due direttrici sono disegnate 9 linee sottili, mentre su una carta svizzera ne vedremo 4 e su una carta italiana solo 3. L’equidistanza (differenza di quota tra due curve contigue) sarà pertanto di 10 m sulle carte francesi, di 20 m su quelle svizzere e di 25 m sulle carte italiane edite dall’IGM (Istituto Geografico Militare) e sulle carte derivate da queste.

Ho indicato le carte in scala 1/25.000 (1 mm = 25 m) perché, oltre a essere le più diffuse, sono anche le più indicate per le nostre escursioni. Un’equidistanza di 25 m su una carta 1/25.000 corrisponde a un 1/1000 della scala e l’IGM ha conservato lo stesso principio di disegnare le curve con un’equidistanza pari a 1/1000 della scala anche sulle carte 1/50.000, sulle quali troveremo una sola curva ordinaria tra due direttrici. L’andamento della curvatura sul piano ci indica le sinuosità del versante: dorsale, canalone… secondo un criterio molto semplice:

  • • andamento rettilineo: pendio aperto, versante uniforme;
  • • curvatura rivolta verso le quote inferiori: displuvio, dorsale;
  • • curvatura rivolta verso le quote superiori: impluvio, vallecola, canalone.

Tanto più chiusa sarà la curvatura, tanto più accentuato sarà il displuvio (da una larga dorsale a uno sperone) o l’impluvio (da un ampio canalone a una forra).

Una ricerca condotta da D. McKlung & P. Schaerer nella zona del Roger Pass  (British Columbia) ha mostrato che i pendii da valanga più attivi sono quelli compresi tra i 35° e i 45° e che, in questa fascia di valori, il numero di valanghe che si distaccano nei canaloni è quasi il doppio rispetto a quelle che si distaccano da pendii aperti. Sulla base di questa constatazione, dovremo verificare con molta attenzione il tracciato del nostro percorso: Esistono dei tratti con inclinazione compresa entro questi valori critici? Dovremo attraversare dei canaloni? La seconda domanda trova facile risposta nell’osservazione delle sinuosità delle curve di livello, mentre la prima ci richiede un poco più d’impegno. Indipendentemente dalla fittezza o densità delle curve di livello, ricordiamoci che:

 

  • • quando queste sono regolarmente distanziate si ha un profilo rettilineo;
  • • se si infittiscono verso le quote inferiori si ha un profilo convesso;
  • • se si diradano verso le quote inferiori si ha un profilo concavo.

L’immagine n° 1 presenta un quadro di questi diversi aspetti morfologici.

Poiché la forza di gravità tende a fare muovere verso valle il manto nevoso depositato su un pendio in misura proporzionale all’inclinazione dello stesso, su un pendio piuttosto movimentato si avranno sollecitazioni disuguali e, in molte zone, la trazione tra la neve a monte e quella a valle sarà accentuata o diminuita dalla sagoma del profilo.  Queste diverse sollecitazioni alla trazione agiscono come forze che possono portare alla rottura per trazione del manto immagine 1.100nevoso e, di conseguenza, al distacco. Una ricerca condotta da I. Vortobel, S. Harvey e R.S. Purves (IFENA – Svizzera) ha preso in esame le variazioni di curvatura del terreno, che sono state classificate nei nove tipi rappresentati nell’immagine n° 2, ed ha constatato che i profili più attivi sono quelli cerchiati in rosso.

Se mettiamo insieme queste informazioni e le confrontiamo con quanto possiamo ricavare dalla lettura della carta, avremo già una prima idea a proposito delle zone in cui il distacco è più probabile e, sempre dalla lettura della carta, potremo cercare un itinerario che le eviti. Se non è possibile evitarle, potremo rinunciare a quella gita, oppure decidere di partire ma, in questo caso, avremo anche una chiara visione dei rischi ai quali andremo incontro e dei tratti di percorso in cui sono localizzati.

Calcolare la pendenza sulla carta topografica

Anche i meno preparati sanno che le curve che s’infittiscono indicano un pendio ripido e che le curve che si diradano indicano che la pendenza diminuisce, ma noi, che ci teniamo sempre aggiornati sulle condizioni del manto nevoso, potremo leggere sul Bollettino Valanghe che è sconsigliato affrontare pendii ripidi (30°-35°) o molto ripidi (35°-40°) e ci rendiamo conto che dobbiamo ricorre a un criterio di valutazione delle pendenze meno grossolano della stima curve vicine – curve lontane’.

Il procedimento per il calcolo della pendenza prevede di dividere il dislivello per la distanza orizzontale (misurata lungo la linea di massima pendenza tra il punto di quota minima e quello di quota massima) e di moltiplicare per 100 il risultato. Così, se il dislivello è di 75 m su una distanza di 150 m avrò 75 : 150 x 100 = 50%. Ovviamente bisogna ricorre al sistema di misurare la distanza in mm con un righello e moltiplicare per 25 per avere la distanza naturale (orizzontale) tra i due punti; dovremo anche moltiplicare per 25 (equidistanza o differenza di livello) il numero di intervalli compresi tra le curve (3 intervalli x 25 m = 75 m) e finalmente potremo eseguire la divisione.

Il procedimento che suggerisco è molto più rapido, ma vale solo per le carte che, come quelle IGM, hanno un’equidistanza pari ad 1/1000 della scala (equidistanza di 25 m per una scala 1/25.000). Come nel caso precedente, contati 3 intervalli tra le curve di livello e misurati 6 mm tra i due punti, eseguo 3 : 6 x 100 = 50%. Questo è possibile perché, a questa scala, 1 mm corrisponde a uno sviluppo di 25 m sia sull’orizzontale che sul verticale. Posso perciò fare il calcolo usando i valori rilevati in mm invece di trasformare tutto in metri. Utilizzando carte che non rispettano questo rapporto di equidistanza pari ad 1/1000 della scala, dovrò trasformare tutto in metri prima di eseguire il calcolo. In ogni caso otterrò sempre la stessa pendenza percentuale.

Pendenza o inclinazione?

Sembrano sinonimi, ma in realtà non lo sono:

  • • Pendenza: come abbiamo appena visto, è il rapporto percentuale tra la differenza di quota fra due punti e la loro distanza orizzontale; è espresso in %.
  • • Inclinazione: è l’angolo compreso tra la retta che indica l’obliquità media del pendio e il piano orizzontale; è abitualmente espresso in ° sessagesimali.

Sembra la stessa cosa, ma se dico che un pendio ha un’inclinazione del 100% non vuole dire che quel pendio è verticale, ma che ha un’inclinazione di 45°.  Può sorprendere, ma provate a disegnare un triangolo rettangolo con i cateti di 10 cm, ossia di 100 mm e fate il calcolo: 100 : 100 x 100 = 100%, ma vedrete che l’ipotenusa ha un’inclinazione di soli 45°.

Quando il Bollettino Valanghe parla di pendii ripidi, o molto ripidi, fa riferimento a dei precisi valori di inclinazione in gradi sessagesimali, ma la carta ci permette di ricavare solo pendenze percentuali e qui sembra che le cose si complichino, però la faccenda è meno intricata di quanto sembri.

Una tabella di comparazione semplifica le cose.

Definizione  Inclinazione in °  Pendenza in %
Moderatamente ripido < 30° < 57%
Ripido da 30° a 35° da 57% a 70%
Molto ripido da 35 a 40° da 70% a 84%
Estremamente ripido > 40° > 84%

Chi ha nozioni di trigonometria sa che il quoziente della divisione dislivello/distanza corrisponde alla tangente dell’angolo perciò, usando una calcolatrice scientifica da pochi euro, può ricavare rapidamente il valore angolare, ma anche chi è digiuno di trigonometria, usando la funzione POL (coordinate polari) implementata nella calcolatrice, può ottenere rapidamente sia la distanza inclinata (ipotenusa), sia l’angolo alla base. Per ottenere questi valori è sufficiente digitare il tasto POL e, in successione, il dislivello e la distanza (separati da una virgola) per ottenere l’ipotenusa (distanza effettiva da percorrere) e l’angolo che questa forma con la base. La procedura d’inserimento dei dati può variare da una calcolatrice all’altra, ma il risultato sarà sempre corretto.

 

Immagine n.2
Immagine n.2

Tutto questo lavoro, che dovremo eseguire al tavolino, ci permetterà di calcolare distanze e dislivelli e di identificare sulla carta quelle superfici che sarebbe opportuno non affrontare. Per evitare il rischio di sbagliare strada potremo poi affidarci a un GPS, che ci condurrà, passo dopo passo, sul tracciato di maggior sicurezza con il quale lo abbiamo programmato.